Chi ha paura dell’informazione digitale?

Questi ultimi due giorni sono stati pieni di interessanti conversazioni. Grazie al lavoro che sto svolgendo come curatore della collana “PhotoGallery”, sono stato invitato a parlare del formato .ePub3 durante una lezione del corso di editing e scritture editoriali dell’Università di Pisa. Il giorno seguente, poi, ho partecipato a una conferenza organizzata dal NEOS al BIT dove, tra le altre cose, veniva presentato “Caccia fotografica” — da poco negli eBookStore.

In queste occasioni ho avuto modo di confrontarmi sullo stesso tema, l’editoria elettronica e in generale le nuove forme di comunicazione, con due generazioni molto diverse.

Se da una parte i giornalisti e i fotografi del NEOS portano con sé un grande bagaglio di esperienze davvero invidiabili, dall’altro gli universitari hanno dalla loro la consapevolezza del mondo in cui si stanno formando — in termini generali.

Purtroppo, chi potrebbe veicolare messaggi di qualità, rimane vincolato a mezzi comunicativi che i giovani non utilizzano. In rete esiste molta cattiva informazione e il messaggio che passa è di ‘aver paura’ dei nuovi mezzi di comunicazione. Perché deve essere il contenitore a prendersi le colpe del contenuto?

La rete, come tutti i veicoli del digitale, è un mezzo potentissimo, e non è una novità. Tutti si lamentano che non esiste più sicurezza nell’informazione, e non è una novità. Perché allora chi possiede un’autorialità, una voce accreditata, non produce contenuti di qualità proprio attraverso i canali che reputano pieni di spazzatura — e che in realtà sono i più utilizzati? Questa domanda, un po’ provocatoria, è stata la fine della mia riflessione durante la conferenza.

Penso che il problema non sia banale. Esiste un pubblico, pochi ma buoni, che accoglierebbe volentieri la voce di quei molti che hanno davvero qualcosa da dire. E poi, sfatiamo il mito che è il contenitore a determinare il contenuto. La qualità del messaggio dipende da chi la produce, non attraverso quale mezzo è diffuso.

Questo mi porta a parlare di un altro tema toccato, più nelle mie corde, riassumibile con la domanda: “perché fare un eBook, e perché deve essere interattivo?“.

Entrambe le generazioni, chi più chi meno, non vede di buon il contenitore eBook. “Un libro di carta, a dispetto di quello digitale, veicola un messaggio di qualità” e “perché faticare così tanto per creare un prodotto interattivo quando l’importanza è da ritrovare nel messaggio, non nel suo contesto?”

Due generazioni diverse, stessi stereotipi.

Per certi aspetti per l’affermazione vale il discorso precedente, ma per la domanda invece il discorso si fa più interessante. Effettivamente, perché un libro dovrebbe essere interattivo?

Parafrasando quanto descritto in “EPUB 3 Best Practices: Optimize Your Digital Books“, per molti lettori l’immutabilità di un libro è un pregio, non un difetto. Un libro non richiede di essere cliccato, commentato, condiviso o twittato, ma solo di rispondere ai bisogni e ai pensieri del lettore. Questo è un elemento da tenere in considerazione, ovviamente, ma non deve essere un freno: ci sono casi in cui la natura statica di un libro è una costrizione dovuta al formato cartaceo, e se la tecnologia ci aiuta e il progetto lo richiede, grazie all’ePub un libro può essere interattivo. Prendendo come esempio gli eBook di “PhotoGallery”, è stato possibile includere nella stessa pagina, ma su due livelli differenti, elementi iconici e testuali. Al di sotto della fotografia è stato posto un bottone il cui evento associato richiama una funzione che fa apparire dall’alto la descrizione. Si tratta di una funzione che scambia un nome della classe dell’elemento contenente il testo in questione, con un’altra formattata per apparire sullo schermo. In questo modo è possibile avere due modalità di lettura. Godersi delle fotografie e/o approfondire sul loro significato per il fotografo e sul come sono state realizzate.

Ma non è così semplice. Ciò su cui mi sono soffermato durante la mia ‘lezioncina’ sull’ePub3, è stato proprio sulle difficoltà di creazione, pubblicazione e fruizione — di cui ho già parlato qui in diversi articoli.

L’interazione è una delle potenzialità più affascinanti in un ePub, ma è anche uno degli elementi più insidiosi, proprio perché si tratta di avanguardia. Tanto per cominciare, lo standard ePub3, pur supportando l’interazione, non garantisce la leggibilità su tutti i device, con tutti i problemi di fruizione che ne derivano.1

L’IDPF fornisce delle specifiche ben precise da seguire, ma molti sono coloro che, tra sviluppatori di app o creatori di eBook in formato ePub, non le rispettano.

Ad esempio, nelle fasi di elaborazione di uno script, ho dovuto tenere in considerazione anche gli eventi esterni a quelli creati appositamente per la pagina. Questa è infatti inserita all’interno di un’applicazione, inserita poi all’interno di un device. Ogni scatola ha quindi una personale risposta alle interazioni fornite dall’utente. Per esempio, se si volesse creare un gallery, si deve tenere in considerazione che gli swipe left e right per lo slittamento delle immagini, andranno a sovrapporsi agli swipe letti dall’applicazione per il cambiamento di pagina. Ad oggi, solo iBooks riconosce la gallery, ma è necessario crearla tramite iBooks Author.

Oppure, un semplice touch a un bottone o a un blocco sensibile, provocherà sia l’evento a esso collegato, sia la comparsa del menù dell’applicazione, oscurando così parte della pagina.

Come già accennato, più ci si spinge in là con le interazioni, più si restringe la possibilità che l’ePub sia egualmente fruibile su più device.

Per evitare di dover produrre un ePub leggibile su un’unica piattaforma, la strategia che consiglio è di operare a strati: partire cioè da un contenuto accessibile a tutti e da lì aggiungere ‘strati’ di interattività sempre più complessi basandosi non solo sulle caratteristiche del device ma anche sulle capacità del lettore e sul pubblico di riferimento. In questo modo avremo un prodotto di base adatto a tutti che però su determinati device acquisterà caratteristiche aggiuntive.

Questo ‘lavorare a strati’, è in realtà un principio di design coniato daSteven Champeon nel 2003 che prende il nome di progressive enhancement.

Progressive enhancement is a design principle in which the goal is to develop the most accessible version of content first, as the primary version, and gradually add layers of enhancement based on the capabilities of the reading system, device, and end user. While the final product of a progressive enhancement workflow can be indistinguishable from one arrived at via a graceful degradation approach, the intent behind progressive enhancement is to view the accessible version of the content as the canonical one, rather than designing a high-resolution, heavily visual, interactive experience as the ‘real’ content and then downgrading that presentation to an accessible version as an afterthought.2

Comunque, sono state giornate intense. Non penso intraprenderò la carriera di docente universitario, ma mai dire mai.


Fonti

1 Epub interattivi: i consigli dell’IDPF, waytoepub, 2014

2 Garrish Matt, Multimedia Support in EPUB 3, epubzone, 2014

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